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Regine di confine PREMIO SCHILLER 2008
Erika Zippilli
2007
72 pp.
20 Fr./ 00 Euro
I pedigreed

[...] Regine di un regno periferico rispetto alla mappa della grande Storia m’aspettavano nello loro case-corti, dove tutto s’apprendeva sulla vita e sulla morte.
Senza corona e scorta regnavano su di un mondo minimale, su strade e contrade del paese dai confini veri per collocazione geografica, dove il corso d’acqua, la “lingua persa” e i passi degli abitanti son sempre stati comunicazioni sconfinanti. Paese dal quale l’imminenza degli anni Sessanta allontanava gli ultimi scalpellini e al contempo serrava le ultime botteghe, convogliando i consumi verso le nuove agorà della modernità.

Regine con radici di terra, operose e affannate, abituate a sgranare fatiche e lontananze. E tuttavia mai del tutto arrese alla propria sorte, spesso sospese tra il pregare e il maledire, un’altra maniera di sottrarsi all’insignificanza di un quotidiano ostile. Parevano dunque portarsi appresso una domanda di riscatto. E anche un poco incredule di poter sconfinare sulla pagina liberamente vestendo nomi altri, irrompendovi con pensieri sottaciuti e gesti a lungo contenuti per riprendersi il ritmo dei propri cuori.” […]

dall’ Introduzione dell’autrice

In copertina:
“Casa ticinese con porticati”
collezione Giuseppe Haug, Capolago


Regine (di confine)
di Claudio Origoni

Che senso potrà mai avere il riportare alla luce queste dieci modeste figure di regine senza corona e senza scorta? La risposta sta forse in una domanda di riscatto che quelle donne sembravano portarsi appresso, scrive l’Erika zippilli-ceppi nell’introduzione al libro. Dove lo scrivere diventa però anche un modo per rievocare l’infanzia dell’autrice, sulle ali di una passione letteraria profonda.
Scrivere per testimoniare, per registrare le voci di un passato a modo suo emblematico. Per denunciare, senza fanatismo, una condizione di disuguaglianza: con la consapevolezza che “una vita intera non basterà a mettere le cose in pari”. (Così sembra pensarla a posteriori la pinina che è la Erika.)
Le dieci regine del libro sembrano essere, di fatto, un pretesto per raccontare e per raccontarsi. In modo efficace, gra-zie all’invenzione di una scrittura davvero di qualità. Materica e sensuale, animata dalla preziosa energia del dialetto, a volte usato in forma esplicita (e perciò virgolettato), a volte ricalcato.
Una scrittura che sconfina nell’oralità, come annota acutamente Monica Cerutti-Giorgi, che ha curato la postfazione. Si veda il ricorso al discorso indiretto libero, si vedano gli intercalari, i “neh”, e l’anarchia sorvegliata della concordanza dei tempi verbali. Una scrittura, una lingua, che diventa materia magmatica e calda e per molti aspetti preziosa. Che si avvale di riuscite invenzioni mimetiche del dire infantile come il superlativo assoluto applicato all’avverbio (semprissimo), il gioco insistito di rime e assonanze e certi coaguli lessicali come “cuorepiombo” o “bassotracagnotto”.
Una lingua lavorata molto, di cesello, che conferisce rilievo a certe formidabili chiuse, sentenziose quanto basta per ridare l’opportuna rotondità al mondo, ma anche la dovuta circolarità ai racconti, quasi avessero statuto di fiaba. Una scrittura immaginifica in cui si fondono passato e presente, fatta di frasi “carminie” (rubo il qualificativo all’autrice), metaforica e sinestetica quanto serve, e tutta tesa a realizzare una più che leale solidarietà con questo piccolo mondo dei vinti che è il paese dell’infanzia.
Cronista e testimone di questa periferia Erika Zippilli-Ceppi, che porta in scena esistenze minime ma piene di vita vera. Esistenze che si ripetono uguali per realizzare “quegli inferni che sono i paradisi promessi” (p.35) e che ricordano “le incessanti lotte contro la poca paga o contro i difetti degli uomini o contro, ancora, la malasorte” (p.38). Un mondo, come potrebbe confermarci la Chiarina, una delle regine del libro, se fosse ancora in vita, dove i padroni “c’hanno le orecchie per la musica [mentre] noialtre, [le camiciaie] pei comandi” (p. 59).
Regine di confine è una piccola raccolta di racconti impegnati, purché l’aggettivo non suoni anacronistico e riduttivo, che fa della lettura una esperienza appassionante. Anche perché è ricco di un minimalismo attento e calcolato, pieno di sorprese e incantamenti, vettori di stupefacenti epifanie.

LEGGER...TI n°13
dicembre 2007-maggio 2008


Una scrittrice “nuova”
di Giovanni Orelli

Se per ipotesi di terzo grado, cioè assurda, dovessi aggiornare una mia antologia delle lettere nella Svizzera italiana (Brescia, La Scuola, 1986), era i nomi nuovi che ci metterei anche per tirar su il morale della narrativa di casa che è un poco più “giù” rispetto alla poesia, è quello di Erika Zippilli-Ceppi. […]I racconti , Regine di confine, Edizioni Ulivo, Balerna, (2007, fr. 20.-, euro 12), sono, per il mio gusto, una felice sorpresa. Ho un po' paura che il lettore d'oggi, sempre più attratto e distratto dai “grandi” libri imposti dal mercato e dalla propaganda cada nell'errore di mettere da parte il libro perché di memorie paesane, di cose passate, un libro “nato vecchio”.
No, caro lettore. Si possono scrivere cose eccellenti partendo da memorie paesane e cose squallide parlando di stregonerie della moderna tecnologia.
Cosa vien fuori dalle “intermittenze del cuore”? (le parole proustiane sono nella succinta introduzione della scrittrice stessa). Viene fuori il ritratto parziale finché si vuole, ma schietto, visto con occhio acuto, anche impietoso, di un paese “dal quale l'imminenza degli anni Sessanta allontanava gli ultimi scalpellini e al contempo serrava le ultime botteghe, convogliando i consumi verso le nuove agora della modernità”.
Detto così, sembra ancora (è) un luogo comune, di sapore giornalistico. Ma perché dir sempre male dei luoghi comuni? Vada allora il lettore ai racconti. Sono fatti di quella materia che lo scapigliato milanese Carlo Dossi chiamava R.U., Ritratti Umani. […]
22-23: “Dal matrimonio figli non ne erano venuti (...) la Mariéta e il Ricardu erano andati a prendersi al manicomio un fiöö da bun cumand (...).Il Mundu dormiva sopra la stalla, in una stanzuccia le cui imposte malmesse si aprivano di fianco alla nostra cucina, sicché spesso lo sentivamo intrattenere coi fantasmi alterchi incomprensibili, di cui peró si coglieva chiaramente qualche bestemmia o epiteto sconveniente. Allora la mamma correva a serrare la finestra dicendo che marcava il tempo”.
L'autrice usa spesso il dialetto, ma con discrezione (piú discretamente della Pariani). E non a caso. Se il dialetto “idiomatico” del tipo fiöö da bun cumand (per il mezzomatto tuttofare) e, poco dopo fiöö da la 1una (nella fantasia popolare il figlio illegittimo) e moderatamente usato, piú frequenti sono gli innesti di italiano-dialetto dei tipo “marcava il tempo”. […]
In La Chiarina, ma non solo lì, oltre che col dialetto l'autrice si diverte anche con le rime (“allegria-Ungheria; genoria-memoria): lo fa per prendere sue distanze dai naturalismo nostalgico e recuperare sì un mondo paesano-povero ma con sue punte di allegra “follia”.
In La Vincenzina, dove si incontra un impietrimento che verrà magari via da Dante, Inf, XXXIII, 49 si legge anche la “morale”, che segue al quando tutto va male:
“Dice che da allora s'era cambiata coi figli e con la gente, spesso il dolore indurisce e più tanto induriscono i dolori tanti e va a finire che maledici il Cielo e i santi”.
Da non perdere il racconto La s’Maestra che comincia così:
“La s'Maestra aveva i capelli raccolti sulla nuca in una reticella e un sorriso a banana lungo fino alle orecchie” […]

Da “AZIONE” 17-11-07


Di donne e di regine
di Giuseppe Dunghi

[…]"Regine di confine" perché regine di un mondo periferico alla grande storia. Le donne di cui nel libro si narra non somigliano a quelle che riescono ad emergere, grazie all'intelligenza, alla bellezza o alla fortuna. Sono quelle che hanno difficoltà ad esprimersi o che si ritrovano ridotte al silenzio, chiuse in casa nei loro vestiti scuri e nelle loro disgrazie, poiche "no n è vero che a questo mondo ce n'è per tutti, lo spartimento dei tribüleri segue la regola della della disuguaglianza, c'aveva ragione il mio poveruomo, ogni paradiso promesso l'è un inferno realizzato". Erika sta al loro fianco e dedica loro un'attenzione affettuosa: ne fa rivivere la storia, i gesti di ribellione, i tratti di bontà e di bellezza, che, nello spazio di due o tre pagine, le innalzano al rango di protagoniste. Regine, appunto. Si tratta di una scrittura meditata e cesellata, che riproduce alla perfezione l'esprimersi per sentenze e proverbi tipico delle donne dell'epoca. Lo stesso linguaggio dei pescatori di Aci Trezza nei Malavoglia o di Renzo all'Osteria della Luna Piena nei Promessi Sposi. È il modo di esprimersi di chi non padroneggia la sintassi: don Milani l'aveva constatato nei ragazzi del Mugello. Ma le regine di confine sono vissute prima della scuola di Barbiana e per loro non c'e stato un don Milani. Di loro restano dunque i suoni impressi nella memoria di una bambina.
Nel testo colpiscono inoltre, fin dalle prime righe, le rime interne o rimalmezzo,
assonanze che richiamano il Cunto de li cunti di Giambattista Basile. Si potrebbe pensare ad una scelta ludica. Si tratta invece di una scelta di stile, coerente col messaggio. Ed in effetti, così come non e possibile leggere l'Eneide senza scandire gli esametri con le loro cesure - Tum vero infelix // fatis exterrita Dido (un'altra regina!) - allo stesso modo non e possibile narrare l'epopea di queste regine senza prendersi gioco di quella lingua, che in vita le ha emarginate. La stessa lingua di quelli della "missione di pace" in Afghanistan, dell' “esportazione della democrazia” e delle “bombe intelligenti”. A costoro bisogna opporsi a cominciare dal linguaggio. Erika lo fa, trascinando adulti e potenti nel mondo cantilenante e fantastico (ma quanto reale!) dei giochi dell'infanzia.

DA SOLIDARIETÀ, nov. 2007

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