[…] C'è chi si ostina a dire che quella dell'infanzia è l'epoca felice del candore. Sarà anche vero, ma essa si accompagna a piccole viltà e, qualche volta, ahimè, a sentimenti bassi o pudichi - e forse ingenui, ma questo non addolcisce in alcun modo la colpa - di vergogna. Fin dopo i vent'anni sono vissuto in una casa che dava su una piazzetta. Nei primi tempi lo slargo era in terra battuta. Era facile scavarci una buca, bastavano due giri sul calcagno, e mettersi a giocare alle biglie. Proprio nel mezzo passava un viottolo di acciottolato.
A guardarlo, la sera, verso l'imbrunire, quell'angolo di mondo pareva una silografia. Di quelle incise con la sgorbia che - quando ci cade sopra certa luce - sembrano come lievitate, uscite per incanto da un sogno antico e misterioso. Fuori insomma, per miracolo o per dannazione, dalle griglie del tempo […]
dal libro
I tre brevissimi racconti del lago, contenuti nel Nome della pietra, rappresentano il bisogno di ripercorrere le strade della memoria alla ricerca di una "mitologia personale", che sostenga le amarezze del presente, senza però cadere nella trappola dell'avversione per il nuovo e tutto ciò che rappresenta. Quando si vive altrove e si è un "emigrante", come sottolinea l'autore nella Poscritta finale, si sa cosa vuol dire "altro". Ma come non abbandonarsi al ricordo, come resistere al desiderio di andare, con il pensiero, nei luoghi conosciuti e in "quelli abitati da chi veniva prima"? "Raramente chi vive fuori sa capire ciò che avviene dentro un mondo che non è il proprio", si trova nel secondo racconto che dà il titolo all'intera raccolta. La rievocazione è forse l'unico mezzo che aiuti a capire quel mondo che ci appartiene in modo esclusivo e che rischia, pericolosamente, l'oblìo.
Non è quindi "la nostalgia del buon tempo antico" la scintilla che ha acceso il bisogno di scrivere queste pagine, ma la consapevolezza che "i morti, si sa, vogliono essere ascoltati" ed "è bene non fingere di non sentirli". Le loro voci raccontano di una piazza il cui nome è "il ricordo oramai vuoto di un sasso enorme", di gente anonima e "tutta strana ", del "velo leggero di menta o di lavanda" che emanano i cassettoni di noce o di ciliegio, di un amico che il ghiacciaio si è preso "con il terribile vento dei saracchi", di nomi che solo la fantasia e i ricordi possono riempire.
Ermanno Pea
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