L’autobiografia di Hans Werner Hirsch, noto al tempo come Peter Surava, racconta una pagina nera della nostra storia recente, fatta di censura politica, persecuzione giudiziaria e cinismo di fronte ai più deboli. Sono gli anni della Seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, un conflitto cui la Svizzera non partecipò direttamente ma che mise comunque a dura prova la sua libertà, la sua democrazia e la sua neutralità.
Per via di un nome che evocava un’ascendenza ebraica, Hirsch subì l’antisemitismo senza essere ebreo, subì l’anticomunismo senza essere comunista, e a causa del suo coraggio civile patì ingiustamente il carcere, la diffamazione e l’isolamento. Privato due volte del proprio nome, la sua biografia non è però solo una storia di repressione politica ma anche un capitolo esemplare del giornalismo d’inchiesta svizzero e della rivendicazione di una libertà di stampa troppo spesso data per scontata.
Surava andava alla ricerca delle ingiustizie nascoste e dei soprusi taciuti, voleva aprire gli occhi all’opinione pubblica sui problemi sociali che persistevano in Svizzera e per questo fu accusato di fare giornalismo scandalistico. Quegli scandali, però, fanno oggi parte della nostra storia e l’averli denunciati all’epoca fu di certo un significativo contributo al progresso del nostro Paese.
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