Iniziamo da cosa non è. Non è un’autobiografia, almeno nel senso che attribuiamo a questo genere di scrittura. Non è neppure la storia di un percorso professionale. Si tratta appunto di Tracce, tracce di memoria, di quel che resta dopo tutto ciò che si è perduto o che non si considera necessario, almeno per una lettura pubblica… E non poteva che essere quello il titolo. La stessa parola o un suo sinonimo abbiamo incontrato tante volte come indicazione, impronta tematica. Di impronte parlava Cristina Castrillo nel suo editoriale per i festeggiamenti dei trentacinque anni del Teatro delle Radici. Così come, in quel pervicace dittico degli inizi (tr) troviamo un Tracciato, Trottole, Trappola per Tristi, Tramonto, Trapitos. Poi la svolta ma anche un ritorno di Vestigia, Ombre, Orme… Aggiungiamo: trasferte, traslochi, trascorsi, tragitti, transiti, traiettorie… tracce, orme, impronte. Appunto. Memoria come cronotopo, un tempo e uno spazio alla base del racconto che è impegno a tramandare anche attraverso il teatro una testimonianza perdurante.
E quindi le mappe e i bellissimi titoli poetici dei diversi capitoli dai quali s’intuiscono spiragli di mondo che, sempre con il pudore e la discrezione a lei abituali, Cristina vuole aprirci.
dalla prefazione di Manuela Camponovo |