Ogni poesia di Numeri e stelle corrisponde a un ritratto, e questo è preceduto nel titolo dall’indicazione della scoperta o, meglio, della ‘rottura epistemologica’ grazie alla quale il personaggio in causa raggiunse la celebrità. Riemann, ad esempio, è affiancato alla sua “funzione zeta”. Quanto all’originalità del piano compositivo, occorre segnalare questo. I versi, oltre a ricordarci con pochi tratti le singole problematiche (in alcuni casi le conoscenze del lettore sono messe a prova, ma ciò non può che rallegrarci), ci informano sull’humus esistenziale esperienziale dei protagonisti. Bastano lacerti evocativi ben scelti, retti dal tu conativo-colloquiale (“capivi”, “cercavi, “eri”).
... la musica delle sfere. Garavaglia non fa che tradurre in immagine poetica il mito di Pitagora, trasmessoci dall’antichità, secondo cui egli dedusse le leggi matematiche dall’armonia dei colpi di quattro martelli sull’incudine. È in quest’ordine d’idee che potremo apprezzare la metafora personificata scelta per definire Évariste Galois: “Eri il Rimbaud dei numeri”. I numeri formano un corpo sonoro, mentre la poesia – musicale in sé - dà vita a un inesauribile reticolo di cifre, algoritmi, simmetrie e proporzioni.
Ricordiamo Novalis: “Meravigliosità della matematica. Essa è una delle principali prove della simpatia e identità della natura e dell’animo”.
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