Gli sciami di bellezza di Elena Ghielmini
A poco più di un mese dalla pubblicazione di “La danza degli aquiloni”, Edizioni Ulivo, 2010
di Giovanna Ceccarelli, dal Giornale del Popolo.
In questa nuova raccolta di poesie di Elena Ghielmini alcuni temi ricorrenti si annunciano già nel primo componimento: in “Luci”, l'autrice conduce per mano i lettori, li accompagna dentro il mondo intimo e segreto della sua poesia invitandoli a oltrepassare il triplice giogo metaforico costituito dal “flusso”, dalle “luci” e dal “soffio”: “Ovattata la tua mano/ a garantire il flusso/ di bianche luci/ fuse fra gli alberi./ Intorno/ il soffio di ali consuma/ il bagliore del giorno/ incantato.”
Il flusso: si annuncia, come accennato, già nella prima poesia e ritorna, spesso, sottoforma di corrente (p. 26, p. 40, p. 48, p. 53). Qui Elena Ghielmini mette in campo un tema universale di non facile definizione: flussi a volte indecifrabili ci avvolgono, correnti improvvise ci percorrono e sono tutti messaggi da decifrare; attimi privilegiati, “sciami di bellezza”, presenze angeliche o perlomeno illuminate, che passano e poi scompaiono, preludendo talvolta a una rivoluzione del cuore. I poeti sanno captare, forse meglio di chiunque altro, queste sensazioni, le quali tuttavia non si lasciano mai descrivere facilmente: per questo è utile se non opportuno usare un linguaggio trasversale.
Le luci del primo componimento ritornano poco dopo sottoforma di “cielo”. I cieli di Elena Ghielmini sono sempre intrisi di luce: sono un luogo di rivelazioni; lassù, dentro squarci di luce inaspettati, sono racchiusi innumerevoli messaggi di bene.
Il soffio: ritorna a p. 14 e poi si riaffaccia nel “respiro” (p. 15 e 48), nel “respirarti” (p. 14) e nel “respirare” (p. 59); si presenta però anche come “afflato” (p. 38), come “fruscìo” (p. 48) e infine come “alito” (p. 59).
C'è spesso, a dire il vero, anche il concetto di “impronta”, che affiora qua e là in forma di “orma” (p. 39, 41), di “scia” (p. 42) e di “solco” (p. 43). Il componimento intitolato “Impronta” è un testo metricamente fluido, gradevole, apparentemente costruito a tavolino: la rima (manto/ pianto) e le assonanze (lontano/ amato/ stanco) contribuiscono a farne una poesia ritmicamente morbida, come se lo scorrere armonico delle sillabe aiutasse a sciogliere la pena del cuore: “Morbido il manto/ sdrucciola il pianto/ lontano il desiderio/ dell'amato stanco./ Scioglie la notte/ la gola estrema/ la pena nel buio/ si disegna”.
Altre orme si disvelano al lettore attento: anche le ore che passano (“le ore disegnano/ il loro mosaico”) lasciano un'impronta, un “segno” che potremo decrifrare soltanto al termine della nostra parabola terrena (“Il messaggio”). Significativo in questo senso l'accostamento, anche fonico, tra “ombre” e “orme” in “Verso la Fenice”: “Ombre alle luci/ disseminate/ si annodano a orme/ candide, di ieri”. In “Il viaggio” la luce scompone le ombre dando loro finalmente un senso: “Vado a peregrinare/ nelle città/ dentro vicoli segreti/ dove la luce/ scompone le ombre”; il ritmo è qui scandito dall'uso frequente delle consonanti -t- e -d-, a imitare il rumore dei passi dell'uomo che incede “dentro vicoli segreti”, alla ricerca delle proprie radici.
La poesia di Elena Ghielmini è popolata in maniera sorprendente di fiori, fiumi, laghi, boschi, alberi e rugiade (Elena abita a ridosso di un suggestivo castagneto e a un tiro di voce dal Laghetto di Muzzano), elementi tratti dal mondo naturale che rimandano, fuor di metafora, al filo della vita, con le sue gioie, le sue cicatrici, le sue speranze, le sue delusioni. Il dialogo intimo e costante con la natura, ora fredda, ora tiepida, in ogni caso sempre amica, dà vita a una poesia che è fortemente intimistica. “Del riverbero” esemplifica alla perfezione questo modo di poetare: nella loro ricerca di assoluto, nel “loro andare,/ diversi verso l'alto”, gli uomini sono “rami teneri, fragili o contorti”. Un altro tema ricorrente nei versi della sensibilissima poetessa di Sorengo è quello di un patto tra Cielo e Terra: il ruolo di intermediario è affidato, di volta in volta, a una libellula, a una colomba, alle lucciole, alle rondini o, ancora, a un “petalo dal lago”: “forse la colomba/ porge il messaggio/ (…) silenziosa scruto/ il giungere del canto” (“Il canto”); le rondini, presenti in ben due componimenti, non solo annunciano la primavera ma diventano improvvisamente messaggere di segreti mai intuiti prima: “Tornano quiete le rondini/ a passeggiare sui cornicioni/ correndo a cogliere la particella./ (…) Tornano le rondini/ sui cornicioni, a suggellare/ misteri” (“Il patto”).
In “Le piccole cose” troviamo, in poche pennellate, il programma poetico di Elena Ghielmini: è nelle piccole cose, infatti, che l'autrice trova la rivelazione; la bellezza sta spesso in un dettaglio, nel particolare minuto: “Voci/ di piccole cose/ di segni nell'aria/ di profonde aurore/ (…) di teneri arbusti/ e sprazzi/ fra alberi vicini”; così “la coltre del bosco scopre/ nel sottosuolo/ gioie preziose”, e un banalissimo coccio può diventare metafora di vita: “Poni questo coccio/ nella scatola chiusa/ gettalo lontano./ Per qualcuno sarà gioco/ ed esso scomparirà/ al solo soffio./ Qualcuno ti serberà spazio/ nel lancio sottile/ del dado.”
Mi si conceda una breve considerazione stilistica: i versi di Elena Ghielmini sono spontanei, rarissime sono le strutture di tipo metrico, un po' più frequenti le figure retoriche (prima fra tutte l'allitterazione). Nella poesia intitolata “Il germoglio” vi è un uso reiterato di -co-/-ca- e di -p-: “Il mio segno/ è nel colore/ il corpo corniola/ per essere bella/ per porgermi casta/ per non perdere la via”. E continua: “conchiglie di nessuno,/ ai deserti i germogli/ prede di nessuno”. E' un cerchio che si chiude poiché il desiderio di “porgersi casta” viene a coincidere con l'immagine finale della conchiglia levigata, pulita, purificata dall'incessante flusso e riflusso di sabbia e onde.
Un altro tema ricorrente nelle poesie di Elena Ghielmini è l'infanzia. Nei versi finali de “La sfera madre”, mi par di capire, i nascituri vengono paragonati a “minuscoli grani/ dai volti, ancora, opachi”; uno sguardo di speranza gettato dentro la luce del futuro, animato da un desiderio tanto sincero quanto imperioso: “farsi riscatto del candore”.
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